Per comprendere appieno la visione del Comune di Bologna di istituire una biblioteca in grado di integrare le avanguardie tecnologiche e digitali e le politiche di welfare culturale è necessario sgombrare il campo da uno stereotipo che affetta l’idea stessa di biblioteca per come ce l’ha consegnata il medioevo: cioè quella di un posto silenzioso, governato da regole severe, in cui solo una parte dei libri conservati è accessibile e comunque non a tutti, in cui è necessario disporre di credenziali e di un motivo valido – almeno secondo il parere del bibliotecario – per metterci piede.
Oggi celebriamo il XX anniversario di Salaborsa e forse possiamo dire che non c’è luogo al mondo che abbia contribuito più di Sala Borsa a combattere questo stereotipo: questa piazza coperta non è affatto silenziosa, può accedervi chiunque e non è raro trovare qualcuno che fa lezione di lingue straniere, suona il pianoforte, progetta una nuova start up o semplicemente legge i quotidiani e discute di politica. In effetti è anche una casa, o un villaggio, per i 90 mila studenti dell’Università di Bologna che vengono qui a studiare, ma per definire l’identità di questa biblioteca la loro presenza non è più importante di quella degli adolescenti che fanno i compiti in sala borsa ragazzi o delle decine di passeggini parcheggiati fuori dallo spazio dedicato ai più piccoli.
Salaborsa si fa carico – insomma – di un fondamentale ruolo di orientamento che chiamiamo accesso alla cultura, e non lo fa certo in modo silenzioso.
Se partiamo da questo presupposto è più facile concepire il progetto Liquid Lab: Archilabò ha costruito un ampio partenariato che nelle ultime settimane si è dato l’obiettivo di progettare le competenze adatte per vivere in modo partecipativo la cultura digitale. L’idea centrale del progetto è quella di promuovere queste competenze tra le nuove generazioni e tra quelle fasce di cittadini che per motivi diversi si trovano ai margini della cosiddetta infosfera, che sono a rischio di esclusione e povertà educative.
Forse è una delle grandi sfide di questi ultimi 10 anni: innovare digitalmente le pratiche di cittadinanza senza escludere nessuno.
Nei primi 18 mesi di vita della biblioteca di Vicolo Bolognetti saranno attivati 28 corsi, e decine di seminari e workshop aperti e gratuiti ai cittadini sui temi delle cosiddette new literacies – o nuove alfabetizzazioni- se preferite. Le discipline STEM, (cioè le scienze, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica) hanno sicuramente un ruolo fondamentale in queste attività ma una caratteristica di Liquid lab è quella di costruire uno spazio di apprendimento in cui le discipline scientifiche e le humanities devono necessariamente convivere e comunicare, perché se l’informazione, la produzione culturale e le relazioni interpersonali sono mediate da codici e algoritmi, non è più il caso di costruire percorsi formativi a compartimenti stagni.
Possiamo raccontare il progetto attraverso quattro percorsi di senso, consapevoli del fatto che è una distinzione di comodo e che ognuno di essi riverbera nell’altro:
Il primo è quello sulla data literacy, l’alfabetizzazione ai dati:
Big data e open data rappresentano una grande promessa di democrazia e progresso ma per poter accedere ai contenuti che questi dati veicolano è necessario progettare e promuovere un nuovo set di competenze che permetta di interrogare i dati aperti, leggerli e saperli rappresentare e comunicare.
Il secondo percorso è quello sugli Artefatti ibridi: ovvero i podcast, le nuove frontiere dell’editoria digitale, il gaming e i prodotti culturali che negli ultimi anni hanno subito una grande mutazione attraverso le tecnologie digitali e che rappresentano nuove sfide per l’inclusione digitale
Il terzo percorso è quello più orientato alla promozione di competenze specifiche e professionalizzanti: prevediamo ad esempio una Summer school di meccatronica per le studentesse e gli studenti iscritti ai percorsi di istruzione e formazione professionale; corsi di prototipazione digitale, modellazione e stampa 3D; ma anche interventi di alfabetizzazione digitale per garantire il diritto di accesso a internet e un adeguato livello di competenze per l’esercizio della cittadinanza, con attenzione alle fasce più fragili, nonché l’aggiornamento delle competenze professionali per far fronte alle sfide aperte dall’innovazione digitale nel mondo del lavoro.
Il quarto percorso infine è quello delle idee per il futuro: sulla base dei framework europei per la promozione dell’intraprendenza daremo vita a Incontri tematici, workshop, e seminari all’interno di un vero e proprio incubatore di impresa che avrà sede nella biblioteca: qui cercheremo di offrire spazi e tempi fluidi per consentire uno sviluppo di proposte e attività non lineare e predeterminato ma circolare, inclusivo e aperto al cambiamento.
In questi percorsi prevediamo di ospitare circa 3000 persone in 18 mesi, le cui competenze saranno certificate attraverso un sistema di open badge digitali perché possano essere spese nel mercato del lavoro. Questo senza contare le attività satellitari che avranno luogo in tutta la rete delle biblioteche pubbliche della città.
Ma oltre a questi percorsi di attivazione la biblioteca di Vicolo Bolognetti dovrà rimanere uno spazio liscio, un ambiente di apprendimento informale in cui si mettono a disposizione gli strumenti di lavoro per un futuro che è ancora da scrivere.
In questo modo speriamo di dare il nostro contributo allo sviluppo del welfare culturale. Qui sappiamo tutti che cos’è, ma quando usciamo dalla città spesso ci troviamo nella situazione di dover spiegare di cosa si tratta, allora proponiamo una definizione: