Su congedo di paternità obbligatorio, impresa sociale, fare politica oggi.
Quando, 5 anni fa, abbiamo fondato Archilabò eravamo un po’ ingenui, abbastanza folli e non del tutto consapevoli ma avevamo propositi molto chiari.
- Innovare l’ambito educativo con qualità e competenza. Dare un segno forte per combattere quella mentalità che vede “il grande calderone educativo” come un settore in cui andare a parare quando la carriera non decolla altrove (e qui potremmo aprire un’ampia e quantomai necessaria parentesi, per ora rimandiamo).
- Fondare un’impresa più giusta con i lavoratori (noi!), che mettesse la persona davanti a qualsiasi logica del profitto e ne valorizzasse ogni caratteristica professionale e umana.
Volevamo un lavoro appagante ma ci interessava – soprattutto – cambiare le cose. Se il mondo del lavoro non stava andando come avremmo voluto allora dovevamo provare a migliorarlo prima di accontentarci. Quella che stavamo per intraprendere era anche un’azione politica. Oggi sono sempre di più le persone che abbandonano lavori sicuri per lanciarsi in avventure simili alla nostra (ne parla molto bene Carolina Bandinelli in Il miglior lavoro del mondo edito da Doppiozero, si può scaricare gratuitamente qui), persone a cui è chiaro che l’impresa – meglio se “sociale” – è uno strumento potente per agire sul reale, innovare la società, ottenere impatto sociale, educare le future generazioni.
Ecco perché, quando nella nostra cooperativa arrivarono i primi bambini (con una frequenza sensibilmente superiore alla media nazionale) la politica scelta dal Cda è sempre stata quella di concedere a madri e padri – tramite accordi informali – la possibilità di vivere serenamente quella incredibile avventura conciliando tempi e spazi lavorativi grazie alla collaborazione di tutti. E’ così che abbiamo visto nascere, in 5 anni, 6 bambini. Ed è pensando a loro che, quando Federica Mazzoni – Consigliera del Comune di Bologna molto sensibile a tematiche come parità di genere, problematiche delle nuove famiglie, innovazione sociale – ci ha raccontato che Valeria Fedeli – Vicepresidente del Senato – ha presentato un disegno di legge per il congedo di paternità obbligatorio di 15 giorni dalla nascita del figlio (A.S. 2111, Emendamento art. 14, qui trovate il testo), non abbiamo esitato un minuto e abbiamo inserito – definitivamente, non a titolo sperimentale – la norma nel nostro regolamento. Oltre a ritenerla giusta e necessaria, infatti, abbiamo considerato che i tempi biblici dell’iter legislativo italiano fossero inadeguati ai ritmi dell’iter generativo della nostra cooperativa, che sembra seguire, invece, una curva demografica esponenziale, quasi malthusiana. Volevamo affermare, senza aspettare oltre, che i nostri neo-papà dovranno stare a casa (almeno) 15 giorni quando nasceranno altri archila-bimbi.
Perché? Perché i papà in congedo sono papà migliori, lavoratori migliori, cittadini migliori.
Chi ben comincia, è a metà dell’opera
Se avete figli sapete bene quanto i primi giorni di vita del bambino siano importanti, a patto che li abbiate trascorsi interamente con lui. Se non ne avete, provo a spiegarvi brevemente quanto quei primissimi momenti siano determinanti per il neonato e per le dinamiche famigliari.
L’arrivo di un figlio è un evento totalizzante senza possibilità di ritorno, una di quelle cose che, quando accade, non si può pensare di rimandare o procrastinare alcunché: non fatelo. Il bambino viene al mondo quando vuole, la famiglia si trasforma, si stravolge, si rivoluziona: ha bisogno di tutti i suoi componenti al cento per cento. Non solo perché servono cure 24 ore su 24, ma, e soprattutto, perché si sta decidendo chi gli darà quelle cure, chi sarà protagonista di quel primo contatto con il mondo, chi sarà – e resterà – un porto sicuro. La mamma parte in vantaggio: ha portato il bambino in grembo per 9 mesi e, come se non bastasse, ora si deve occupare dell’allattamento: voi che fate, abbandonate il campo? Io, se fossi un papà, chiederei un “bonus-tempo” per compensare questo sbilanciamento. Con pazienza e dedizione ilbambino riconosce l’odore del papà, la sua voce, le sue mani, la sua barba. Passate da subito molto tempo con vostro figlio: lui vi amerà, voi lo amerete, vi divertirete insieme, sarete papà migliori.
Se la maternità è un master, la paternità dovrebbe essere – almeno – un diploma
In fin dei conti siamo – anche – degli imprenditori – sociali. Ci interessa che la nostra impresa funzioni, che i servizi vengano portati avanti con serietà e professionalità e che i conti tornino (e magari abbiano un bel + davanti). Conosciamo bene il “capitale umano” che l’esperienza della maternità – e della paternità! – porta con sé e sappiamo che chi rientra dal congedo parentale è una persona cambiata, in meglio. Nel momento in cui si è chiamati ad accudire un altro essere umano è la natura stessa a sviluppare qualità che difficilmente possono essere perfezionate altrove. Si tratta delle cosiddette soft skills (che di soft hanno ben poco!) ovvero di competenze:
- cognitive: visione sistemica, problem solving, capacità di analisi e di sintesi;
- relazionali: empatia, collaborazione, teamwork, negoziazione;
- realizzative: spirito di iniziativa, proattività, orientamento al risultato, pianificazione, organizzazione, gestione del tempo e delle priorità, capacità decisionali;
- manageriali: leadership, gestione e motivazione dei collaboratori;
- trasversali: flessibilità, tolleranza allo stress, tensione al miglioramento continuo, innovazione.
Vi sembra impossibile che si possano imparare tutte queste cose solo stando a casa con i bambini? Credeteci.
Riccarda Zezza e Andrea Vitullo in Maam, mam as a master. La maternità è un master che rende più forti uomini e donne (Bur, 2014) affermano che l’esperienza di cura sia a tutti gli effetti un percorso formativo, un allenamento sul campo di autentica leadership. In una parola: un master. La neuroscienza dà loro ragione: si tratta di un cambiamento a livello cerebrale che aumenta “autonomia, resilienza e determinazione”. La loro tesi, inoltre, è supportata da una ricerca condotta sul campo: “su 1100 madri intervistate l’87.5% delle donne ha confermato un aumento delle capacità organizzative e l’86% ha notato una migliore capacità di ascolto, come conseguenze del congedo di maternità” (Ashoka Italia, 8 giugno 2016).
Insomma un genitore che si dedica per un periodo ai propri figli sviluppa tutte queste abilità e le porta con sé in ufficio per metterle a servizio di tutti, a patto che le imprese se ne accorgano e siano in grado di valorizzarle.
Un papà in congedo è un cittadino che lotta per una società migliore
Ci occupiamo di educazione: sappiamo che i grandi cambiamenti avvengono facendo piccoli passi, che gli obiettivi si raggiungono con pazienza, costanza e determinazione. E sappiamo anche molto bene che, se parliamo di parità di genere, opportunità lavorative di donne in “età da figli”, conciliazione famiglia-lavoro e cura dei figli da parte dei padri, nel nostro paese c’è ancora tanto da fare. Ecco perché 15 giorni di congedo sono solo l’inizio. Ma da qualche parte bisognerà pur cominciare.
Non prendiamoci in giro: avere un figlio è un problema per la stragrande maggioranza delle lavoratrici, non lo è – quasi mai – per i lavoratori. Solo il 6,9% dei padri italiani usufruisce del congedo parentale (contro il 69% degli svedesi, dati Istat). In quasi 9 casi su 10 sono le madri a rinunciare alla propria vita professionale, fotografando una situazione sociale di poco diversa da quella di 50 anni fa che stiamo irrimediabilmente trasmettendo ai nostri figli (è l’exemplum che conta!). Se poi consideriamo il tempo dedicato ai figli i dati sono – se possibile – ancora più sconcertanti: i padri trascorrono con i bambini in media 38 minuti della loro giornata – sì, avete capito bene, meno di un’ora! – le madri 4 ore e 45 minuti (dati Sirc). Certo, quel 30% di retribuzione (previsto dalla legge sul congedo parentale) non è un incentivo valido perché il papà rinunci allo stipendio – spesso immotivatamente più alto di quello della mamma a parità di responsabilità – ma il problema vero è quella mentalità radicata a tutti i livelli della società, spesso anche nelle menti più progressiste, per cui se uno dei due deve stare a casa, beh, quella è la mamma – in molte occasioni, addirittura, “per il bene del bambino”.
E allora, dati questi presupposti, un papà in congedo è un papà che afferma che quei 38 minuti non gli bastano, che vuole essere presente nella vita dei bambini come la mamma, che si mette sullo stesso piano della compagna e progetta insieme a lei la crescita dei figli e la vita professionale – di entrambi. E’ un papà che porta cambiamento, che stravolge un paradigma, che sradica un pregiudizio e, quindi, migliora la società.
Se 5 anni fa abbiamo aperto un’impresa sociale per cambiare le cose, oggi sta a noi prendere decisioni che migliorino la qualità delle nostre vite, che mettano le basi per una società migliore, che diano il buon esempio per le generazioni future.
Sta a noi mettere fretta al legislatore affermando che siamo pronti a questo cambiamento; la parità di genere è imprescindibile ed è ora di concretizzarla nei fatti, è ora di gettare le basi per quella rivoluzione culturale che la nostra generazione ha, in molti casi, smesso di sognare.
Sta alle imprese come la nostra dichiarare una volta per tutte: mamme e papà lavoratori siete i benvenuti, avere figli non è un fattore discriminante, al contrario, è un grosso punto a favore sul vostro Curriculum Vitae.
E allora questo è un appello, una vera e propria call – come si usa nel nostro settore: cerchiamo imprese, startup, cooperative, associazioni che vogliano aderire, come noi, a questa iniziativa.
Cerchiamo altri che, come noi, vogliano cambiare le cose dal basso e senza che qualcuno glielo imponga.
Cerchiamo altri che, come noi, abbiano una idea di società differente, vogliano investire sulle competenze dei propri lavoratori e tutelarne la felicità.
Alcuni articoli sull’inserimento del congedo di paternità obbligatorio nel regolamento di Archilabò: