La partita delle mamme libere professioniste
A proposito di diritti, maternità e partita iva.
Diventare mamma è una delle esperienze più incredibili che una donna possa vivere, ma tutte le lavoratrici hanno gli stessi diritti? Non proprio. Per chi è libera professionista diventare mamma è un tantino più complicato visto che, al momento, una donna che lavora a partita Iva, in caso di maternità, è spesso costretta a interrompere la propria attività con la quasi nullità di garanzie future.
Le mamme dipendenti che lavorano hanno diritto a 5 mesi di maternità al momento della nascita del loro bambino, allattamento, congedi parentali fino agli 8 anni del figlio e congedi in caso di malattia dei pargoli. E sappiamo che, anche così, non è proprio una passeggiata.
E alle future mamme lavoratrici autonome cosa spetta?
Non avendo l’obbligo di astensione dal lavoro, poiché l’attività è “liberamente” gestita, l’indennità di maternità o simili erogate dall’Inps o dagli altri enti previdenziali, non sono sostitutive della libera professione, semplicemente vanno ad integrare le entrate poiché la lavoratrice autonoma ha, per forza, un calo – se non uno stop – dell’attività lavorativa.
A tutte le lavoratrici iscritte alla gestione separata che versano il contributo anche per la maternità (0,72%) – purché non iscritte contemporaneamente ad altra gestione pensionistica obbligatoria – spetta il pagamento dell’indennità di maternità, pari all’80% del reddito giornaliero prodotto nei 12 mesi precedenti i due mesi la data presunta del parto.
Non sono previsti congedi in caso di malattia del figlio, niente allattamento e i congedi parentali hanno una durata massima di tre mesi – solo per il primo anno di vita del bambino.
Per queste mamme fermare la propria attività 5 mesi può essere un problema (spesso i clienti cercano un nuovo fornitore) e ovviamente anche queste mamme hanno voglia di stare con i propri bambini. E allora come si fa?
Molte neo-mamme a partita iva, nonostante l’indennità, scelgono di tornare presto al lavoro, spesso perché non possono permettersi di tenere la propria attività chiusa per 5 mesi, non hanno nessuno che le possa sostituire o non riescono a pagarlo. Ci sono donne che tornano al lavoro una settimana dopo il parto, altre cercano di lavorare da casa senza fare sapere ai propri clienti i salti mortali che fanno per consegnare i lavori, altre si portano il bambino in ufficio o in negozio.
E’ molto comune, inoltre, che una donna libera professionista rinunci a diventare mamma o rimandi l’evento all’infinito, sperando in tempi migliori.
Se si guardano i dati assoluti, non tenendo in considerazione il peso dell’occupazione dipendente rispetto a quella indipendente, il 92,1% della maternità obbligatoria viene assorbita dalle lavoratrici dipendenti. Quanto al congedo parentale, che è facoltativo, è assorbito dalle dipendenti nella quasi totalità (98,6%).
Assodato che la libera professione viene intrapresa sempre più frequentemente anche dalle donne con ottimi risultati, non mancano iniziative volte ad incentivare l’imprenditoria femminile ma quote rosa ed incentivi servono a poco se non vengono affrontati temi fondamentali per le donne: conciliazione casa-lavoro e maternità.
Ecco alcune iniziative, emerse dalle libere professioniste, che potrebbero invertire la rotta o, quantomeno, dare un po’ di sollievo a queste donne che, come tutte le altre, hanno il diritto di costruirsi una famiglia senza dovere rinunciare alla propria vita professionale o viceversa:
– agire sulla leva fiscale, per quello che Edgarda Fiorini (presidente Donne Impresa Confartigianato) ha chiamato “il reddito di cura” che permetterebbe, tra l’altro, l’emersione di lavoro nero,
– parificare i congedi parentali e l’allattamento,
– permettere sgravi fiscali per l’imprenditrice che assume chi la sostituisca durante la propria maternità o malattia,
– sospendere le verifiche fiscali mentre la lavoratrice autonoma è in maternità.
La mia esperienza è significativa di come le persone, prima ancora delle istituzioni e le leggi, possano fare la differenza. Durante la prima gravidanza mi occupavo solo di traduzioni, la maggior parte dei miei clienti non ha mai saputo che fossi incinta e quindi non mi sono potuta permettere di fermarmi un attimo, se non per i tre giorni di ricovero (con cellulare sul tavolino per controllare non ci fossero urgenze). Durante la seconda, fortunatamente, era già nata Archilabò – in cui svolgo mansioni per lo più amministrative come libera professionista – che mi ha permesso, e continua a farlo, di delegare alcune attività e di gestire il tutto secondo i miei tempi e le mie necessità, con la garanzia di poter aumentare o diminuire la mole di lavoro come meglio credo, rispettando così in pieno i valori che ci hanno unito.
Dalla recente campagna del ministero della salute sulla mia fertilità che svanisce nel tempo, emerge chiaramente come una soluzione al tipo di problemi che racconto in questo breve articolo sia molto lontana dall’agenda del governo.