Nei prossimi 4 anni, circa un miliardo di studenti accederanno alle scuole superiori e, se le recenti proiezioni sono attendibili, molti di loro avranno uno smartphone in tasca. Questi studenti decideranno quali applicazioni utilizzare e quando utilizzarle; potranno insomma avere sotto mano e controllare in gran parte le tecnologie preposte alla loro educazione.
Nonostante questo potenziale, sono ben poche le applicazioni davvero utili agli studenti. Le classifiche di download relative al settore delle education app vedono in testa giochi e tools per la didattica in classe, e la maggior parte delle applicazioni orientate agli studenti – duolingo, Quizlet e, recentemente Photomath – soddisfa solo una piccola parte delle loro reali necessità; questo significa che c’è ampia possibilità di ingresso per nuovi soggetti sul mercato.
A Socratic, abbiamo passato gli ultimi due anni riflettendo sulle pratiche di apprendimento che coinvolgono il web, nella speranza di incoraggiare lo sviluppo di un maggior numero di applicazioni orientate agli studenti; condividiamo qui le nostre riflessioni sul ruolo dello smartphone nelle attività legate allo studio.
La durata della batteria è tutto
Per i teenager, lo smartphone è il nodo centrale delle interazioni sociali, il posto in cui gli eventi si susseguono in tempo reale. Il costo di rimanere fuori dal giro è alto e questo è il motivo per cui li vediamo controllare in continuazione il display del telefono. Questo utilizzo costante ha dei limiti: durata della batteria, spazio di archiviazione e traffico dati.
Durante uno user test, una studentessa non vide una caratteristica che avevamo ideato e inserito nell’applicazione perché la luminosità del suo schermo era troppo debole. Da allora, abbiamo notato che la maggior parte degli studenti di scuola secondaria tiene al minimo il livello di luminosità perché il dispositivo possa rimanere acceso tutto il giorno.
Gli studenti inoltre non utilizzano smartphone di ultima generazione, ma telefoni un pò datati e perdipiù tendono ad installarvi molte applicazioni, il che significa che sono spesso a corto di spazio. Se la vostra app verrà progettata senza attenzione per il consumo sconsiderato di spazio di archiviazione, traffico dati o batteria, non siate sorpresi se poi dovesse essere altrettanto allegramente eliminata dai dispositivi.
Una fotografia è il modo più veloce per condividere contenuti
Digitare per esteso la consegna dei compiti per casa sullo smartphone (sui social, in chat…) è estenuante, e molti compiti non possono essere digitati in assoluto a causa di simboli matematici, diagrammi e grafici. Ma tutti i compiti e le consegne, nessuna esclusa, possono essere fotografati in un attimo, e il risultato è che gli studenti non digitano il testo dei compiti, li fotografano.
Un comportamento davvero frequente è quello di fare foto a un problema di matematica risolto a metà, mandarlo a un amico, e ricevere dopo qualche minuto una foto della metà mancante, redatta a penna su un foglio di carta. Le foto sono la via preferenziale anche per condividere contenuti digitali: è più facile fare uno screenshot e condividerlo che copiare e incollare l’url in servizi come iMessage o altre chat.
Includere una funzione di photo input in una app non è sempre facile, ma fa la differenza. PhotoMath ad esempio ha una tecnologia proprietaria per riconoscere le equazioni in un’immagine (e risolverle!). Ci sono nuove API di riconoscimento immagini ideate da Google e IBM sorprendentemente accurate, e applicazioni di micro-tutoring come GotIt e Mathcrunch che consentono agli studenti di inviare foto relative ai loro quesiti a tutor per l’apprendimento pronti a rispondere nel giro di qualche minuto.
Gli studenti si rapportano ai loro smartphone come se fossero dei tutor, non dei libri di testo.
Quando gli studenti si rivolgono a Internet per trovare soluzioni, cominciano spesso con l’andare su Google per digitare esattamente la domanda legata alla consegna del compito che stanno affrontando (ad esempio “Qual è la visione dell’anima nella dialettica hegeliana?”) e in genere finiscono su Yahoo Answer. Solo se la ricerca di una riposta precisa fallisce sono obbligati a modificare la query, allargandola e rendendola più generica.
È interessante notare come i siti web a scopo didattico di “alta qualità” (Khan Academy, CK-12, Coursera,..) non siano stati creati per rispondere a specifiche domande e quindi non rientrino in questo tipo di risultati di ricerca on line.
Se state creando contenuti educativi digitali, siate attentissimi a questo aspetto: rendete i vostri prodotti individuabili e indicizzabili rispetto al tipo di domande che gli studenti rivolgeranno ai motori di ricerca.
È faticoso fruire su dispositivi mobile dei contenuti educativi di cui disponiamo ad oggi
La maggior parte dei contenuti per l’istruzione reperibili on line sono stati creati per essere letti su un computer con uno schermo largo e una connessione veloce. È facile assistere a studenti che cercano informazioni in un pdf di 20 pagine sul loro iphone, strabuzzando gli occhi per decifrare piccoli e graziosi font. Anche i siti web tradizionali non ottimizzati per mobile sono difficilmente usabili con lo smartphone. Nei nostri test, il 40% dei siti web a cui gli studenti accedono con i loro smartphone impiega più di 5 secondi a caricarsi.
I contenuti creati per uno smartphone dovrebbero essere nativi per mobile: veloci, sintetici e leggibili su un piccolo schermo. Ancora meglio se avete a disposizione contenuti multimediali mobile-friendly: le gif animate funzionano alla grande e se pensate di utilizzare dei video, seguite le indicazioni di Snapchat e girateli con la videocamera orientata in verticale, così gli studenti non dovranno girare lo schermo per fruirne. Date un’occhiata anche a Primer app, per progettare UI basate sulle cosiddette cards.
Le Chat promuovono la peer – education
Quando usare Google non funziona, gli studenti chiedono “come fare” agli amici. Se questo accade in comunicazioni uno a uno o in piccoli gruppi, vengono utilizzate applicazioni come iMessage, Facebook Messenger o WhatsApp.
Per comunicare con la classe intera, spesso accade che vengano creati gruppi Facebook all’inizio dell’anno scolastico. Quello diviene il “posto dove andare” per avere informazioni logistiche sulla classe e, qualche volta, un vero e proprio servizio di aiuto-compiti.
Gli studenti con cui abbiamo parlato dicono di sapere con esattezza chi, tra i loro compagni, sarà in grado di aiutarli a seconda dell’ambito disciplinare e in che modo saranno disposti a farlo. Sono anche consapevoli di aver chiesto aiuto troppe volte a certi compagni e di cosa accadrebbe alla loro reputazione se lo facessero di nuovo.
Se stai costruendo un’applicazione “social”, rifletti su chi la utilizzerà per condividere contenuti: amici per la pelle? Un gruppo di studio? L’intera classe? L’insegnante potrà monitorare ciò che viene condiviso? Le risposte a queste domande orienteranno drasticamente il tono e i contenuti di ciò che gli studenti metteranno in condivisione.
Nel 1980, Steve Jobs diede una fortunata definizione del personal computer, disse che sarebbe stato una “bicicletta per la mente” permettendo di fatto agli esseri umani di andare più lontano. Noi crediamo che gli smartphone possano giocare lo stesso ruolo per gli studenti: fornire superpoteri, così da poter impare di più, in modo più approfondito e in autonomia.
È evidente che ci sono miliardi di persone al mondo desiderose di ottenere i superpoteri, e gli smartphone possono fare la differenza e rendere l’apprendimento più accessibile e inclusivo. Per ottenere questo risultato abbiamo bisogno di tanta collaborazione; prima cominciamo, meglio è!
L’articolo è di Christopher Pedregal (@cjpedregal), fondatore di Socratic.
Gli abbiamo chiesto il permesso di tradurlo perché crediamo meriti la massima diffusione: qui lo trovate in lingua originale!